🌼 Di primi passi, stampelle, e di Caucaso che guarisce tutto
Caviglia mia, voglio solo ruggire più forte che mai
Ciao!
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I viaggi post pandemia stanno cercando di ammazzarmi in tutti i modi, ma per fortuna c’è il buonumore socotrano che mi tiene ancora viva. E più va male, più ci si balla su: non c’è molto altro che possiamo fare. Durante questi due tour Pain de Route e Soviet Tours in Georgia ho preso una distorsione alla caviglia. L’ho presa sul ridere fin da subito, ma onestamente rendersi conto che improvvisamente non puoi più camminare su due gambe e hai bisogno di aiuto per fare quasi tutto è stato devastante. Passerà, è vero, ma questa consapevolezza mi ha fatto scattare qualcosa che non mi lascerà più come prima. Proprio ieri ho fatto il primo vero passo con le stampelle, dopo 11 giorni senza appoggiare mai il piede. È stato così bello che mi veniva da piangere. Mi sembra che mezza gamba sia un pezzo di legno, ma è stata un’emozione indescrivibile. Così ho pensato di raccontarvi una storia scanzonata da questa nuova vita di stampelle, che trovate più sotto.
Per i programmi e le iscrizioni dei nuovi tour in Georgia estivi dovrete pazientare ancora una settimana. In ogni caso, manderò la primissima notifica qui sulla newsletter. Trovate la sezione eventi e quella viaggi più in basso.
A maggior ragione non sto più nella pelle per il cammino (facile) di tre giorni in Umbria dal 30 maggio all’1 giugno. Ci sono ancora posti e sarò ruggente come un leone, anche se magari ancora un po’ anestetizzata dall’Oki. Cammineremo con Alessandra Fiandra di Vie di Fuga, guida ambientale, slavista, e semplicemente una persona straordinaria. Avremo tonnellate di cose di cui parlare. Di selvaticherie, di Est, di Ucraina, di Russia, di Caucaso, di tutte le cose che ci tengono in vita. Vi aspettiamo.
«Sei proprio cretina»
In Georgia, durante il secondo tour di questa primavera, ho fatto una di quelle classiche cose per cui, a un certo punto, mi sono detta: «Eleonora Sacco, sei proprio cretina».
Da che ho memoria, più o meno tutti gli insegnanti che ho incontrato nel mio percorso scolastico mi hanno sempre descritta come un vulcano in eruzione. Che non so bene quanto fosse un complimento, o un mezzo complimento che sconfinava nell’esasperazione, o un’implorazione a sedarmi, ma tant’è. Un sacco di gran stupidate le ho fatte per via dell’impulsività, o per il non saper resistere a quella forza primordiale che mi si agita dentro quando voglio, voglio tremendamente fare qualcosa e la trasgressione ha il sapore dolcissimo del frutto proibito. Le vene pulsano, il cervello si stacca, l’avventura chiama e io vado. Con due piedi, o anche con uno solo.
Mi spiego meglio.
In Agiaria, a Khulo*, la settimana prima avevo fatto una bella caduta scivolando sul fango, che mi ha regalato ben due iniezioni di anestetico per cavalli (la prima di dimedrol-analgin, la seconda di ketamina, e beh, è stato davvero divertente), una distorsione alla caviglia destra, un piede che cambia colore come un camaleonte socotrano e due settimane minimo di stampelle.
*Sì, che khulo l’abbiamo pensato tutt3
La cosa mi ha rallentato per un paio di giorni, ma non fermata. Ho portato avanti il secondo tour facendo quasi tutto, ovviamente insieme alla guida locale Soviet Tours, il leggendario Nikita, una specie di orso sovietico che tutti scambiavano per il coach di una squadra femminile di rugby, cioè noi. Prima con sforzi disumani - il male alle spalle, alle braccia, i calli alle mani etc -, poi con più scioltezza, ho esplorato insieme ai miei gruppi case della cultura abbandonate, statue di Lenin rovesciate, moschee in legno dipinte e minuscoli villaggi degli altopiani del sud della Georgia. In sostanza, tutto ciò che fosse raggiungibile in poche decine di metri di stampellate e con un gradino, un tronco, una sedia o un qualcosa dove accasciarsi alla fine dello sforzo.
Per una moschea dell’Agiaria invece, quella di Chvana, il pulmino guidato dal buon Levan non se la sentiva di andare, perché la strada era ripida e stretta. 700 metri sola andata, prima in discesa, poi in salita. Così ho lasciato il gruppo a Nikita, e io mi sono sdraiata su un muretto, al sole, a mettermi l’anima in pace.
Finché non hanno iniziato a passare diverse macchine proprio in quella direzione. Una, due, tre, quattro. Alla quinta è arrivata. Quella sensazione lì, dico, di invincibilità, di follia, di sfida, di vendetta sanguinaria sul resto del mondo. Ci vado anch’io, avrò una gamba sola, ma ci vado anch’io. Così ho chiesto a Levan di fermare la macchina successiva e chiedere un passaggio per me. E anziché dirmi criatur, per l’amor del cielo, mi ha assecondata ridendo. Pochi secondi dopo, passa una marshrutka scassatissima, proveniente da chissà dove e diretta chissà dove. Agito una stampella per chiedere di accostare. La porta si spalanca e cadono tre taniche da cinque litri di vino bianco, due galline sbattono le ali dal fondo del pulmino, una signora vestita di nero mi sorride e due vecchietti con la coppola mi fanno cenno di salire e sedermi su uno sgabellino di legno in mezzo al furgone, il posto extra. Il portellone si chiude, e si parte. 700 metri di strada di montagna, in stampelle, su una marshrutka. I passeggeri esplodono in mille domande. Devushka, ma di dove sei? E dove vai? Che ci vai a fare a Chvana? E che ti è successo al piede? Ma come mai parli russo? Non sei russa, vero? No, sono una semplice ital’yanka. Di questi tempi, sospiro di sollievo.
Mentre il furgone arranca in salita, vedo il mio gruppo che torna indietro. Provo a chiamarli, ma non mi sentono. D’altronde sono incastrata su uno sgabellino di legno, tra vino, polli, nonnini e nonnine, a finestrini chiusi. Ed è lì che il cervello si riconnette al resto del corpo, e penso solo che sono una povera idiota. A Socotra mi avrebbero detto mskina, Nora, mskina! Finita la salita, chiedo all’autista di fermarsi. Saluto i passeggeri. Didi madloba, nakhvamdis, nakhvamdis! Punto le stampelle che ormai hanno perso i gommini, salto giù, la marshrutka schizza via. Siamo solo io, l’enorme moschea di Chvana con la sua splendida fontana dipinta, tutta in legno, e nessun altro intorno. Il minareto, rivestito di lamiera come un piccolo e brutto robot artigianale, brilla come Sirio nel cielo notturno. Faccio qualche foto timidissima e rapida, spalanco un sorriso immenso di gioia e soddisfazione per avercela fatta, ma poi l’angoscia mi assale. E se nessuno torna nella direzione da cui sono venuta? Riuscirò a fare tutta quella salita al ritorno, solo con la forza delle mie braccia? E se mi faccio male all’altra gamba? E se si spaventano perché sono sparita? Una cretina sei, una cretina nel cervello.
Mi butto a capofitto giù dalla discesa, prendendo le scale per fare prima, sperando di riuscire a rincorrere il gruppo. Il sole è caldo, ma sopportabile. Non ci sono punti dove riposarsi, ma non c’è neanche il tempo. Tiro avanti stampellata dopo stampellata, ignorando il male del mio peso morto sulle mani, i tricipiti che si contraggono nel dolore, l’altra povera gamba che sorregge tutto il peso. Nel delirio di onnipotenza, appoggio le dita del piede sull’asfalto caldo, come a dare un contributo minimo allo sforzo titanico in salita. Faccio pianissimo, con massima delicatezza, ma l’impressione di camminare con due gambe mi dà una gioia infinita, che mi esplode nel petto. Ogni parte del mio corpo fa il suo, per quello che può. La maratona prosegue alla grande, finché un cane mi sente, da lontano, e mi si para davanti abbaiando come un ossesso.
Mi immobilizzo, sussurrandogli di calmarsi, parlandogli con una voce tranquilla. Ma lui continua ad abbaiare a un metro dalla mia gamba, e più faccio per proseguire, più abbaia con cattiveria. Non riesco ad avanzare neanche di un centimetro. «Can che abbaia non morde», mi ripeto, ma senza convinzione.
In questi casi, l’unica cosa da fare è prendere un sasso e lanciarlo da qualche parte nella sua direzione, che è come in Caucaso addestrano i cani a calmarsi. Ma con due mani impegnate a stare in piedi e il cane già all’interno del mio spazio vitale la cosa non era possibile. Anche cercare di spaventarlo con una stampella non aveva senso, perché non potevo scappare. E se mi avesse morso l’altra gamba, l’unica su cui potevo camminare?
Dopo alcuni minuti di panico, esce la padrona, che lo richiama a casa. Tiro un sospiro di sollievo. È fatta. La ringrazio e le chiedo di fermare un’auto se la vede passare, che mi dia gentilmente un passaggio per il tratto più ripido della salita. Non faccio in tempo a finire la frase, che si ferma un ragazzotto con un’auto verde marcio e gli occhiali da sole. Gli chiedo la pietà di portarmi più su di centocinquanta metri e certo, devushka, non c’è problema. Mi parla in un misto di russo e georgiano. A pochemu kartuli ar itsi? Ma perché non sai il georgiano? Gran domanda, in effetti. Prima cosa che anch’io chiederei a una straniera in stampelle che fa autostop scappando da un cane nelle montagne agiare.
Mi scarica davanti al pulmino vuoto. Ma dov’erano finiti tutti? Non che poi fossi esattamente nella posizione di potermi lamentare del fatto che gli altri spariscono. Mentre Nikita sta contrattando sul numero di capi di bestiame da ricevere in cambio del darci come spose alla meglio gioventù di Chvana, le ragazze sono state invitate al baretto che funge anche da pro loco del villaggio per un bottiglione in plastica da tre litri di birra georgiana, sigarette di tabacco agiaro rollate da un vecchio signore cieco da un occhio e ovviamente ripetuti giri di vodka. Con la bandiera agiara e quella georgiana di sfondo, il fumo nella stanza e il signore che raccontava dei suoi anni di militare passati in Lituania, sembrava quasi di stare in un covo di pirati, o in un circolo politico dissidente della fine degli anni ‘80.
A stomaco vuoto e brindando all’amicizia dei popoli, alla gioia e alle cose belle nella vita, posiamo in qualità di squadra di rugby o future mogli del villaggio insieme alle bandiere. L’adrenalina scende piano, la birra sale, e in fondo è andato tutto bene. Inspira, espira, butta giù. Za mir!
I prossimi eventi
Ecco i prossimi eventi in programma.
A maggio mi riposo, anche perché devo recuperare questa maledetta caviglia.
Dal 30 maggio all’1 giugno, da lunedì a mercoledì, con la guida Alessandra Fiandra di Vie di Fuga, abbiamo organizzato un cammino a piedi di tre giorni in Umbria, lungo la Via di Francesco, da Campello sul Clitunno fino ad Assisi. Dopo questa distorsione alla caviglia, ho bisogno di una ripartenza lenta e tranquilla. Condividerla con una guida come Alessandra è stata una scelta naturale. È un cammino davvero facile (giurin giurella) e adatto a tutt3, pensato per raccoglierci in una regione meravigliosa e selvaggia e raccontarci il mondo a ritmo lento.
Le iscrizioni sono già aperte e ci sono solo 15 posti. Ci si iscrive da qui, affrettatevi!
Il 5 giugno tornerà la passeggiata La Russia a Roma. Sarà una camminata necessaria e entusiasmante come quella già fatta in autunno, ma che andrà riscritta alla luce degli ultimi tragici eventi in Ucraina. Vi aggiorno presto. Avevamo fatto anche una camminata dedicata all’Ucraina e abbiamo pensato di ripeterla, ma il ristorante ucraino presso cui mangiavamo ha chiuso: il proprietario è tornato in Ucraina a combattere. Spero solo che stia bene.
Il 18 giugno con Angelo terremo un incontro su Cemento al Circolo Guernelli di Bologna. Vi aspettiamo!
Il 9 e 10 luglio torniamo a fare un giro nuovo in Val Grande, che come ricorderete è per me un posto del cuore. Se riesco e se non c’è troppo delirio, provo a organizzare qualcosa anche infrasettimanalmente a giugno.
Prossimi viaggi
Confermo che avremo due tour in Georgia, uno a fine luglio e uno circa entro la prima metà di agosto. Un itinerario sarà la versione estesa di quelli che ho appena portato ad aprile (sono stati belli bellissimi) e uno invece sarà dedicato ai popoli di montagna dell’est, in particolare valle di Pankisi e Khevsureti. Entrambi dovrebbero avere una durata di 11 giorni.
Programmi, iscrizioni e date definitive saranno disponibili settimana prossima. Stiamo provando a fare il massimo per uscire quanto prima, ma sia io sia Gianluca al momento siamo oberati di lavoro. Questa newsletter è il luogo dove annuncio per prima la pubblicazione degli eventi e dei tour.
Consigli stravolti
Anche questa volta, pochi consigli ma buoni, e più stravolti che mai.
Playlist: Est/ranei ha pubblicato una playlist Spotify di musica indipendente russa fichissima. Non smetterò mai di voler bene alla cultura russa, nonostante tutto il male che il suo governo fa almeno dal 1999. Grazie Est/ranei.
Un articolo: “Esiste un Nuovo Est? Falci, martelli e soft power: l’estetica post-post-sovietica” di Angelo Zinna per indiscreto.org, che rilancia e amplia il tema della prima puntata di Cemento, dedicata proprio al termine Nuovo Est?, rigorosamente con un punto di domanda alla fine. Il Calvert Journal in ogni caso ha sospeso la pubblicazione dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
Una canzone: And the radio plays dei CCCP. Amarcord liceale, l’abbiamo stra-ascoltata nei tour in Georgia, insieme a tanto sano trash per buttar giù l’amarezza della vita.
Libri: ho ricevuto dalla mia cara amica Laura un libro duro e bellissimo che è semplicemente necessario oggi. Lika Zakaryan ha la mia età, ma è nata a Stepanakert nel 1994, durante la prima guerra del Nagorno Karabakh. Quando la guerra riesplode il 27 settembre 2020, da giornalista per CivilNet, inizia a tenere un diario spiazzantemente lucido, vivido, onesto, senza alcuna pretesa di imparzialità. Istantanee dell’orrore che si consumava sui civili, riflessioni di un’universalità e profondità disarmanti. Laura come sempre mi fa regali preziosi, che sa che smuoveranno qualcosa dentro di me. Ve lo consiglio col cuore, perché è un libro non gridato, e oggi ne abbiamo davvero bisogno. Per vedere le cose nella nudità di quello che sono, raccontate da una voce coraggiosa e ferma. Si compra su questo sito per 20$ e viene spedito direttamente dall’Armenia. Vorrei al mondo non ci fosse bisogno di persone come Lika, e invece, alla luce del disastro che si ripete di continuo, per fortuna ci sono.
«I now know that smiling in war is good. Otherwise you can go crazy. We will smile and live. I don’t know how we should live in order to be worthy of those who sacrificed their lives for us to live on our native land. But we will live and we will smile!».
Ricorrenze: oggi sono 600 giorni che Maria Kalesnikava, musicista e politica dell’opposizione bielorussa, è in carcere da quando ha stracciato il suo passaporto per impedire che le autorità la espellessero dal paese. È una donna di una forza impressionante. Continua a dire: «il bene vince sempre». Potete scriverle una lettera, se vi va. Io, fossi in lei, vorrei riceverne a centinaia ogni giorno. L’indirizzo è questo: 246035, Gomel, Penal Colony No. 4, Antoshkina str. 3, unit No. 18.
Novità: oggi è stato pubblicato il report 2022 di RSF sulla libertà di stampa nel mondo. Che scardina un po’ di pregiudizi, ma ci ricorda anche cose fondamentali, tipo in quali paesi si può scrivere quello che si pensa e in quali decisamente no, e senza scuse. L’Armenia (51) è messa meglio dell’Italia (58), che ha perso ben 17 posizioni dal 2021. Anche Croazia, Slovenia, Romania e Macedonia del Nord fanno meglio. Bielorussia (153), Azerbaigian (154) e Russia (155) sono i migliori dei peggiori. Guardavo sempre questo report quand’ero al liceo. Ho un misto di nostalgia e tristezza per vedere che l’Italia e alcuni paesi dell’Est non hanno fatto altro che peggiorare negli anni. Quattro giorni fa, è stata uccisa da un bombardamento russo sulla sua casa la giornalista ucraina Vira Hyrych, che scriveva per Radio Liberty. Sono già tanti i giornalisti uccisi in Ucraina dall’inizio della guerra. Se si calcola la lista dal 2014, il primo è stato Andy Rocchelli, fotoreporter per Cesura e figlio della mia professoressa di storia contemporanea all’università.
Per oggi è tutto. Vi abbraccio forte.
Eleonora