🛸Dieci cose piccole
- ma davvero piccole che ho fatto quest'anno e che magari potete fare anche voi.
Ciao!
Questa è Pain de Route, cioè pan di via, la newsletter più imprevedibile dell’Est. Di Eleonora Sacco, che poi sarei io.
Questo è lo spazio dove provo ad arrotolare i fili ingarbugliati di una vita senza copione, annuncio in anteprima gli eventi e i viaggi di gruppo e raccolgo qualche consiglio di ascolto e lettura. Esce quando deve uscire.
Ancora non siamo pronti con il calendario dei viaggi 2024. So che lo aspettate, ci dispiace - lo annunceremo con la prossima mail nelle prossime settimane.
Oggi vi scrivo solo perché questi in giorni dissonanti - di cenoni e macerie, di lucine e cadaveri - sono riuscita un po’ a riavvolgere i miei ultimi dodici mesi in quello che è stato forse l’anno più buio e violento per l’umanità da che sono viva. La dissonanza mi ha accompagnata quasi ogni giorno, mentre dalla mia stanza riscaldata e al sicuro seguivo su Instagram ragazzi della mia età scappare dalle bombe di regimi criminali guerrafondai di tutto il mondo.
Ho cercato di pensare in piccolo, in questi giorni, e trovare dieci cose non grandi, non ambiziose, forse solo normali, che hanno acceso lucine qui e lì nella mia vita quando era più difficile guardare in avanti. E che magari potete fare anche voi.
Tutto qui. Vi lascio una poesia, e poi la lista. Buona lettura e buone feste per chi festeggia.
In foto: un mosaico nella mensa di un campo per pionieri sull’Issyk-kul, in Kirghizistan.
Solo, poi, capirai
che le cose piccole
ti fanno importante
e quelle grandi
ti rimpiccioliscono
decrescere è maturo
senza cader dall’albero
da cui sopraelevati
osserviamo un secolo
superbo e sciocco
così misero
nel brulicare
di formiche egoiste
così buio
nel luccichio
di orizzonti verticali
i fuochi d’artificio
sono SOS
lanciati alle stelle
- Paolo Cerruto, 2014
1. Ho preso un treno da Catania Centrale a Milano Centrale, sulla tratta più lunga d’Italia
1350km con 35 fermate, da Siracusa a Milano con un unico treno. Se fossimo in Russia, con quella distanza si andrebbe da Mosca fin quasi a Ekaterinburg, la prima città oltre gli Urali. La cosa più straordinaria di tutte per me è stata pensare di stare tagliando tutto il mio paese in lunghezza, su binari, che più lunghezza di così quasi non si può. È stata una delle poche volte in cui mi sono sentita, in fondo, di volere un po’ bene a questa terra disgraziata.
La tratta siciliana è paesaggisticamente mozzafiato: ho intravisto la stazione di Taormina, l’Etna sempre maestoso, il mare blu bordato da spiagge scure fino a Messina.
Fa impressione vedere il nome Milano Centrale dal monitor di un binario Trenitalia ma al 37° parallelo, quando Milano è a otto paralleli più in su. È come andare da Atene a Zagabria. Solo che tra Atene e Zagabria si attraversano almeno quattro paesi.
La cosa speciale di questo viaggio interminabile è tutto il processo di smontaggio del treno per trasferirlo sul traghetto RFI. Una volta spostati tutti i vagoni, si può scendere e andare all’ultimo piano. Vedere lo stretto di Messina dal mare su questo mezzo sui generis è stato impagabile. Mi sono tornate in mente le ore passate al liceo a leggere di Scilla e Cariddi. Con semplicità ero lì, tra le bocche più temibili del Mediterraneo, la Sicilia da un lato, la Calabria dall’altro, accarezzate da una luce leggerissima. Sul ponte più alto c’eravamo solo io, la mia amica Elena e un ingegnere navale genovese esperto di traghetti ferroviari, mentre il vento e la salsedine ci annodavano i capelli. Dopo Villa San Giovanni (che sì, è una città prima che una fermata della metro) si percorre tutta la selvaggia costa calabra prima che cali la notte e ci si risveglia salutando la torre di Pisa, col suo battistero e le Alpi Apuane tutt’intorno; poi, le gallerie delle Cinque Terre con gli scorci improvvisi di mare blu, colori pastello, pini marittimi e scogli, Levanto, Chiavari, Camogli, Genova Piazza Principe, l’odore di porto, la sua colata urbana di case e finestre… Da lì si torna nella rovente pianura padana di luglio, verde e umida di risaie - Tortona, Voghera, Pavia, le bocche dell’inferno e infine Milano Centrale. Che ha le dimensioni adatte a stupire chi un giorno esatto prima partiva dalla Sicilia per attraversare il paese intero.
Costo del treno preso con una super economy: 59€. C’è anche la cuccetta 4 posti sole donne che abbiamo preso noi, allo stesso prezzo delle altre. Lo staff che lavora sul treno è carinissimo e c’è una piccola colazione inclusa. L’unica cosa è che essendo Trenitalia ovviamente l’aria condizionata era rotta quindi il treno era un po’ un forno e abbiamo accumulato 3h di ritardo su 20h di treno. Non avevo aspettative diverse, per quanto mi riguarda considero già un successo l’essere arrivate a destinazione :)
2. Sono stata in canoa sul Ticino
Con Pietro Beretta, amico guida ufficiale della Val Grande, del parco del Ticino e istruttore di rafting, sono stata in canoa sul Ticino. È stata un’esperienza incredibile, in una delle giornate più gelide e umide di dicembre. Non ho perso né mani né piedi e già questo è stato un gran risultato, ma il Ticino si è rivelato essere davvero un gran fiume, selvaggio e a tratti anche pericoloso.
Nessuna città ci si affaccia, tranne Pavia, poco prima che si unisca al Po; lambisce inquietanti raffinerie e cementifici che sembrano Gotham City ma rimane un’oasi intatta e poco frequentata, dove il ronzio del traffico padano scompare e si sentono solo i richiami degli uccelli, sulle isole si trovano strambe casette per ripararsi dal sole, le lanche rivelano colori cristallini, risorgive tiepide, alghe geometricamente appaganti. Da ritornarci assolutamente, magari in primavera.
3. Sono andata al cinema da sola per la prima volta. Mesi dopo il resto del mondo, ho visto C’è ancora domani di Paola Cortellesi
Di cinema non capisco e non capirò mai niente, è un mondo che mi scorre parallelo. Eppure questo film mi ha parlato in maniera così cristallina, e mi ha lasciata con una voglia di rivalsa e di lotta, che credo davvero debbano trasmetterlo a reti unificate e che lo debbano vedere letteralmente tutty. È un film sul potere e sulla violenza sistemica. Non ho niente di originale da aggiungere se non che se dobbiamo dare un qualche senso alle nostre vite, deve essere per lottare contro le ingiustizie e le umiliazioni che milioni di persone subiscono quotidianamente nel mondo, oggi come decenni fa. La strada è lunga, e noi nella pattumiera della storia non ci vogliamo più finire.
4. Da luglio ho smesso di bere alcol, con pochissime eccezioni
Mi ero già disabituata dopo periodi così lunghi a Socotra e in paesi a maggioranza musulmana ed è stata una cosa naturale. Ho deciso da un giorno all’altro dopo aver letto un articolo del Post su quanto è realmente dannoso l’alcol: non c’è una quantità minima che “va bene”. Quella quantità è zero: mi è un po’ crollato il mondo leggendolo. Mi ero stufata anche del bere come collante sociale obbligato, senza altre vere opzioni. Non è una scelta integralista e sicuramente farò qualche eccezione per qualche birra o vino di qualità, ma ad oggi non mi sono pentita, dormo meglio, sono molto più di buon umore, meno affaticata dalla vita e più in forma.
5. Ho visitato nuove città italiane (anche grazie a Kult)
Il podcast ci ha aperto tante porte, regalato un premio e tanti incontri nelle nostre vite. Scoprire città nuove sapendo di avere già degli amici che devi ancora conoscere è per me una delle sensazioni più appaganti del viaggiare, e funziona anche in Italia.
Grazie dal profondo del cuore a tutti i divani che ci hanno accolto, le cucine in cui ci siamo bevuti tisane calde parlando fino a notte fonda, gli hotel anni ‘80, i murazzi sul Po a Torino, i regionali più sudici e i Frecciarossa sudici uguale, le montagne cuneesi, i cinema vicentini e le trattorie piemontesi, il motorino, l’estathè e l’acqua cristallina delle scogliere a Livorno, Ferrara, il buio e le luci gialle come un labirinto di un altro secolo, l’abbraccio caldo di Internazionale, le camminate a notte fonda io e Angelo oltre la ferrovia, a Bologna, il freddo che faceva alla presentazione al Nuovo Armenia, a Milano, con voi pigiati in uno stanzone e gli altri fuori dalle finestre a guardare, mentre col cuore che tremava provavamo a raccontarvi cos’era stato per noi fare Kult, quando nemmeno noi lo sapevamo. Non dimenticherò nulla, promesso. Grazie per tutto.
Grazie anche a Questioni d’Orecchio per averci scelto tra i podcast migliori del 2023 ♥
6. Ho avuto la fortuna di visitare due paesi nuovi, e la sfortuna di essere stata bannata a vita da un altro
Il 2023 mi ha fatto passeggiare di qua e di là da una linea verde demilitarizzata e controllata dai caschi blu in una capitale europea, Nicosia, perché il mio passaporto me lo consentiva senza alcun problema. Mi ha fatto andare a caccia di piante, rocce, lingue imparentate con Socotra nel Dhofar, in Oman, perché il mio passaporto mi faceva entrare senza visto e guidare senza patente internazionale. E ho avuto la possibilità di vivere sulla mia pelle di europea privilegiata cosa significa essere respinti a vita da un altro paese. Esperienza rara per chi ha un passaporto bordeaux, ordinaria amministrazione per gran parte del resto del mondo.
7. Ho esplorato la Val Resia, sul confine tra Friuli e Slovenia
Grazie alla guida Nicola Ceschia siamo riusciti a organizzare un weekend di esplorazioni a piedi nelle valli slavofone del Friuli, attraverso territori che fino a soli trent’anni fa erano assolutamente inavvicinabili per via della cortina di ferro. Ricordo ogni emozione di quel weekend come se fosse ieri: la cena cucinata in casera, il verde brillante di fine giugno, abbracciare Italia, Austria, Slovenia e Croazia con un solo sguardo; la notte in tenda, le canzoni urlate e stonate con un cantante country locale alla Baita Al Taj (un posto per l’anima, da salvare), i piedi pucciati nel fiume gelido, il letto pietroso del Tagliamento, l’attraversata oceanica per tornare a Milano pigiati in una Panda. Spero, spero con tutto il cuore di tornare.
8. Lavorato al mio primo progetto fotografico documentaristico, The last island of the shipping route
Che è in corso, è iniziato senza che lo sapessi nel 2021 quando per una strana coincidenza ho messo piede per la prima volta a Socotra, e spero in qualche modo continui in futuro. Racconta di un’isola quasi perduta e del suo viaggio verso il mondo moderno che esiste al di là del mare. Forse migliore, probabilmente peggiore. In tutti i suoi lampioni led a disturbare le Vie Lattee, onde di rifiuti, uomini in pelliccia, studentesse di computer science all’Università dell’Arcipelago di Socotra, alberi secolari, antenne che diffondono al net emiratino e ginecologhe kirghise.
Non so bene per quale botta di fortuna, ma un estratto di questo progetto è stato pubblicato su Internazionale il 17 novembre 2023.
Anzi, so come, ed è grazie ai consigli preziosi, alla guida e all’aiuto di chi con la fotografia fa sul serio. Grazie di cuore alla generosità sconfinata di Daria Addabbo, Gianluca Pardelli e Eugenio Grosso. Grazie anche alle due sisters ♥ e tutti gli amici che hanno speso del tempo prezioso in consigli utilissimi.
9. Scritto tanto, più di quello che pensavo avrei scritto
Con questa, nel 2023 ho mandato dieci newsletter, quasi tutte con un racconto inedito. Sul sito ho aggiunto nuovi articoli più pratici, sia mai che vi tornino utili, un po’ un ultimo affronto a chatGPT.
Ho/abbiamo scritto di: Salalah, Oman; Osh, Kirghizistan; Tashkent e Nukus, Uzbekistan; Chișinău, Moldova; roba sovietica a Tbilisi, Georgia; Tirana, Albania; Iran.
Mi mancava tanto scrivere. Credo sia uno degli atti d’amore più belli che possiamo fare ai nostri ricordi e a noi stesse. È come ritirare i vestiti dallo stendino, piegarli e rimetterli nei cassetti dopo tanti mesi di viaggio, caos, polvere, sporcizia (e sbrodolate - c’è chi sa).
10. Parlato tanto, sicuramente troppo ma anche non abbastanza
Esisterà un modo per sapere con precisione quante parole abbiamo pronunciato in un anno?
Se c’è una cosa che dal 1994 orgogliosamente non faccio è stare zitta.
Quest’anno ho parlato così tanto e con così tante persone, dal vivo, in tour e in podcast, anche quando ero malata e dovevo riposare, che sono arrivata a danneggiarmi le corde vocali. Dovrò fare riabilitazione e sperare che tutto si sistemi senza chirurgia.
Se ci pensate, riuscire a comunicare con gli altri è una cosa grandiosa. Lanciare un’idea, una sensazione, un ricordo, poterlo fare in maniera estremamente complessa, sapere che saremo ascoltat* e che la nostra solitudine interiore sarà spezzata, ha un che di magico. Quando si riesce in qualche modo a comunicare tra culture lontanissime, è tutto ancora più incredibile. Quest’anno, piano piano e con una fatica immensa, ho sentito di essermi spinta ancora un po’ più in là.
Ho imparato il cirillico in un viaggio in Bulgaria e Serbia nel 2014; ho capito la mia prima parola in russo nel monologo mistico-delirante di una babushka appena tornata dalle isole Solovki, nel viaggio in treno lungo 39 ore tra Murmansk e Mosca, nel 2015. Poi, nel 2017, sono finita a caso e totalmente impreparata in un corso B1 monolingue alla HSE di Mosca, in ultima fila e sempre in ritardo, con un messicano di nome Jorge-Luis che mi spiegava sussurrando all’orecchio, in ingleñol, quali esercizi dovevamo fare. A gennaio mi sono decisa a fare qualche lezione correttiva, e alla fine nell’ultimo anno e mezzo ho guidato sei tour interamente in russo a Socotra, rischiando un esaurimento cerebrale.
Nel mondo, negli anni, sono riuscita a parlare in russo con un medico del Bahrein nel deserto della Giordania, con una signora russo-italo-nigeriana nata a Mosca nel 1970 in un Blablacar in mezzo alla pianura padana, con nonnini senza denti a 3.800m sul confine tra Tagikistan e Afghanistan, a cantare Katyusha con un commerciante di miele a Socotra e con una turista ceca in India, e ancora in autostop sul confine tra Serbia e Kosovo (precisamente a Merdare, giuro che si chiama così), coi pastori ceceni in Georgia, con signore ebree alcolizzate sui treni per Odessa, in Ucraina, come lingua segreta in codice tra me e la mia collega estone, con babushki sovietiche in incognito a Berlino.
Ora è il turno dell’arabo yemenita misto a socotri. Che non so leggere e scrivere, ma con cui posso litigare con il capovillaggio di De-Lisiyah, prendere un krak (tè col latte cotto a fiamma bassa per ore) in un bar di Salalah con due socotri emigrati in Oman, tirare in mezzo tutti i bambini di Qalansiyah, chiacchierare con un egiziano intorno al fuoco nel Rub Al-Khali, strappare un prezzo migliore al bazaar di Tripoli, in Libano, discutere con la guardia di frontiera e non stare zitta nemmeno a un matrimonio socotri con trecento invitate che mangiano montagne di riso e capra con le mani dagli stessi piatti.
È iniziato tutto quando una volta ho chiesto ad Adnan se poteva insegnarmi un po’ di parole. Seduti sul hazr intorno al fuoco, nel buio pesto delle notti di Socotra, ho iniziato la mia lista di parole arabe e socotri, che si allunga sempre un po’ di più. Kbk, stelle. Eri, la luna. Qamar, in arabo. E così via.
Sono le lingue ad avermi permesso di fare il viaggio più entusiasmante di tutti, quello che non finisce mai - che ti accompagna nei sogni, che fa da sottofondo musicale a ogni istante della tua vita.
Ora, nel 2024 le mie corde vocali mi impongono di darmi una calmata. Eppure, credo che in quest’anno che verrà ci sarà bisogno di urlare ancora più forte, di raggiungere ancora più persone. Di gridare che non passeranno.
Tante volte quest’anno ho perso le parole di fronte alle ondate di orrore a cui abbiamo assistito e a cui continuiamo ad assistere, inermi, disgregati. Mentre i carnefici non hanno più paura a bombardare sotto la luce del sole e l’umanità intera viene sepolta ogni giorno a Gaza e in Cisgiordania, in Nagorno Karabakh, in Ucraina, in Sudan, in DRC, in Yemen e in decine di altri territori del mondo. Ora basta.
Ecco qui.
Vi auguro con tutto il cuore di avere un anno gentile, sereno ma con la voglia di lottare, perché ne avremo bisogno.
Se avrete voglia di scrivermi quali sono state le vostre cose piccolissime, vi leggerò volentieri.
Un abbraccio,
Eleonora
Eleonora, come sempre grazie delle tue preziosissime condivisioni. Quest'anno per poco non ti incontravo dal vivo, ma alla fine i piani sono andati diversamente. Spero prima o poi di poter sentirti parlare dal vivo, quando le tue corde vocali saranno guarite. Ti auguro che il nuovo anno ti porti molte altre "piccole" cose che possano darti gioia, felicità ed energia. Grazie dei semini di speranza che continui a seminare!
Un abbraccio dalla Svezia!
Grazie sempre per i tuoi racconti, per chi come non ha il fisico per certi viaggi mi sento come se mi portassi con te ed è bellissimo.