🌊 Fiumi in piena e un laboratorio di podcasting a Firenze
Dopo un ciclone tropicale, un workshop il 2-3 dicembre a Firenze
Ciao!
Questa è Pain de Route, cioè pan di via, la newsletter più imprevedibile dell’Est. Di Eleonora Sacco, che poi sarei io.
Questo è lo spazio dove provo ad arrotolare i fili ingarbugliati di una vita senza copione, annuncio in anteprima gli eventi e i viaggi di gruppo e raccolgo qualche consiglio di ascolto e lettura. Esce quando deve uscire.
Novità : sabato 2 e domenica 3 dicembre io e Angelo Zinna terremo un workshop di podcasting indipendente a Firenze, presso la libreria L’Ornitorinco. I posti sono limitati e c’è uno sconto per le prime 5 persone che si iscrivono. Tutte le info più sotto.
Fiumi in piena
Ieri gli Houthi, da Sana’a, hanno dichiarato guerra a Israele. L’ho saputo da amici in Italia, perché da qui questa notizia sembra lontanissima. Socotra in teoria si trova in Yemen, ma in pratica sotto molti aspetti è come trovarsi direttamente su un altro pianeta - che espone qualche bandiera della Palestina, organizza qualche protesta, discute ferocemente dicendosi pronta in ogni momento a marciare per fermare i massacri, ma dove in fondo anche qui la vita scorre come sempre, presa dalle solite tribolazioni quotidiane. Non so quanto questo sia un bene. Il cuore mi rimane in frantumi, la speranza seppellita sotto terra.
Settimana scorsa invece abbiamo avuto un ciclone tropicale. Dall’oceano indiano si è radunata un’immensa massa d’acqua che ha iniziato a roteare spostandosi verso la costa tra Yemen e Oman, lambendo l’isola di Socotra. Per ore ho provato ad aggiornare l’app delle previsioni meteo. Vedere un gorgo di vento e pioggia rosso fiammante che si avvicina verso lo scoglio in mezzo all’oceano su cui ti trovi era un qualcosa che non avevo mai provato. Uno scoglio che non ha fognature e canalizzazioni, dove i fiumi non hanno argini, dove le strade non hanno ponti, dove l’hotel dove ci trovavamo – il leggendario Heathrow Hotel – è letteralmente una distesa di conteiner riconvertiti a stanze.
Alla fine Tej, così l’hanno chiamato, ha investito solo l’Est dell’isola, mentre noi, nella nostra distesa arida vicino all’aeroporto, ci siamo presi solo un assaggio dell’inferno che si è scatenato altrove. Il giorno dopo è stato surreale. Ponti saltati, wadi allagati che solo la follia incosciente dei socotri riesce a guadare, frane, strade nuove chiuse di già per frana, strade vecchie impercorribili, fango ovunque, canyon che traboccano d’acqua, cascate spettacolari che si gettano giù dalle scogliere di Momi e dalla piscina di Homhil.
C’è però un posto che ha tratto del beneficio da questo disastro e grande spavento che è stato il ciclone - Kalissan. «Kalissan mashallah», mi ha detto Adnan, soffiando via il vapore della shisha.
Aveva ragione. La strada nuova è tornata rotta nel giro di un paio di mesi, ma il canyon trabocca d’acqua verde smeraldo in uno spettacolo raro e portentoso.
Per una volta, ho messo da parte la spossatezza e, presa dall’entusiasmo, mi sono avventurata più in su, risalendo il fiume. La scogliera per i tuffi, in genere sui 7-8 metri, ora è molto più bassa perché c’è almeno un metro e mezzo d’acqua in più. Forse 6 metri. Il brivido del buttarsi nel vuoto dura di meno, ma l’aria fa comunque in tempo a mancarti mentre sei in volo. La Jacuzzi naturale ora è uno scivolo d’acqua dove la corrente si raccoglie in un vortice che mi spinge contro le pareti di roccia calcarea bianchissima. Aggrappandosi alle pieghe della roccia si riesce a strisciare al di là , dove un tempo c’erano piscine tranquille e alghe verdi, che ora esplodono in una cascata violenta. Scivolo lungo la scogliera, come un ladro che cammina lungo il cornicione di un palazzo, cercando più attrito possibile sotto i piedi per non cadere. Il fianco del wadi si apre in una grotta aperta in cima: con un po’ di coraggio ci si può arrampicare sulle rocce e sbucare lassù, ma non mi fido delle rocce appena cadute dal ciclone – decido di provare a la via dell’acqua. Mi aggrappo a un muro di roccia che scende verticale sull’acqua, curvandosi in uno spigolo sporgente. La corrente è fortissima. Se batto la testa è la fine: è un gioco di equilibrismo tra il fidarsi della pietra, il fidarsi dell’acqua, il fidarsi della propria forza. La scintilla dell’incoscienza si accende di nuovo, arriva la scarica di adrenalina, come tanto tempo fa, come sempre. Uso tutta la mia forza delle braccia per andare dall’altra parte e all’improvviso è fatta. Mi arrampico su una pietraia per risalire la cascata dal fianco. Quello che mi si spalanca davanti agli occhi è incredibile: un anfiteatro di cascate e rigagnoli d’acqua che scendono potenti a valle tutto intorno. Potrei proseguire, così come potrei rompermi l’osso del collo - questa volta torno indietro.
Getto il mio corpo, come se fosse un elemento estraneo da me, nelle braccia della corrente, la testa finisce sott’acqua. Il suono si attutisce, il corpo si abbandona al percorso che il fiume ha già deciso per me. Un momento di distrazione e la cascata mi può buttare giù, come un ciottolo qualsiasi, come un tronco di palma.
L’ultima volta che mi sono abbandonata completamente alla corrente, senza avere la possibilità di oppormi, ero nella valle di Pankisi, in Georgia. Dei ragazzi mi avevano detto che c’era un punto del fiume Alazani dove la corrente scavava un canale profondo, proprio addossato a una scogliera di arenaria. La forza dell’acqua era veramente fortissima. Bisognava tuffarcisi per poi sapere che ci si sarebbe fermati solo quando il canale raggiungeva una pietraia. Il fiato ti si fermava mentre il panico prendeva possesso di ogni cellula del tuo corpo - l’acqua era me, io non ero più me, non c’era più niente che potessi fare.
Tre ragazze dalle gonne lunghe e nere, come uscite da un romanzo di Tolstoj, aspettavano di tuffarsi, i piedi incollati al bordo, la paura del salto palpabile. La più grande di loro le chiamava da sotto agitando le braccia. «È fonda, non tocchi, non è pericoloso!», sembrava dicesse. Gridava in kist, un dialetto del ceceno.
Alla fine la ragazza si era tuffata: un drappo nero, la gonna lunga che svolazzava, risucchiato dalle acque agitate e grigie dell’Alazani. L’avevo vista riaffiorare dopo qualche secondo parecchi metri più avanti, trasportata anche lei più a valle come un ramo morto, accompagnata dalla corrente indenne, senza sfiorare neanche una roccia. Il panico che si trasformava in un sorriso e un altro grido di gioia.
La sensazione di essere trascinata dalla corrente mi accompagna da mesi. Di non stare veramente decidendo la direzione, il senso di impotenza e di trovarsi nelle mani di qualcosa che può cullarci e ucciderci allo stesso tempo. Che è solo la forza di gravità a decidere la forza dello schianto, prima o poi inevitabile. Qualche giorno fa a Homhil, una piscina naturale che ora si è spalancata in un’immensa cascata, ho incontrato una libanese di Beirut e due palestinesi che vivono ad Abu Dhabi. La ragazza è venuta a chiedermi timidamente: «è già scoppiata la guerra in Libano? Non ho connessione da tre giorni, non so cosa sta succedendo». Le ultime notizie che avevo anche io era che Gaza era al buio completo, tagliata fuori da ogni possibile connessione col mondo. Ho avuto una lunga conversazione con il ragazzo di Nablus. L’acqua era fredda, la corrente voleva trascinarci via mentre ci tenevamo aggrappati al bordo. «È 75 anni che è così. Ormai è dentro di noi, fa parte di noi. Siamo diventati insensibili a tutto». Ho stretto forte le mani sulla pietra, perché la corrente non mi portasse via.
Un workshop di podcasting indipendente a Firenze
Ascoltare L’Altrove è un corso di due giorni per imparare come pensare, produrre e pubblicare un podcast ispirato da un viaggio, in modo indipendente e con un budget limitato. Partecipando a questo laboratorio intensivo di otto ore, imparerai a costruire un progetto editoriale in modo indipendente partendo da zero: dalle tecniche di scrittura per l’audio alla distribuzione, vedremo come affrontare tutti i passi necessari per passare da un’idea astratta a un podcast finito.
Partendo dalla nostra esperienza con la produzione dei podcast Cemento (2019 – 2021) e Kult (2023), analizzeremo come strutturare la creazione di un podcast di viaggio, facendosi le domande giuste prima di passare alla stesura dello script, all’editing, al montaggio e alla distribuzione. Come rappresentare l’Altro? Come affrontare argomenti controversi? Come individuare fonti affidabili? Come trovare il proprio pubblico?
In due giorni, il 2 e 3 dicembre 2023, per otto ore di corso totali, proveremo a sviscerare il nostro percorso nel podcasting indipendente attraverso tutte le fasi di produzione.
In breve
Dove: Libreria L’Ornitorinco, via di Camaldoli, 10R, Firenze
Quando: il 2 e il 3 dicembre 2023, dalle 14.00 alle 18.00
Partecipanti: Fino a 25 studenti
Costo: 150€ (99€ per i primi 5 partecipanti, sconto valido fino al 15 novembre)
Attenzione: uno sconto early bird è riservato ai primi cinque partecipanti: iscriviti oggi per acquistare il corso a 99€ invece di 150€. Valido fino al 15 novembre.
Le iscrizioni avvengono tramite la Libreria L’Ornitorinco, che puoi contattare via info@librerialornitorinco.it
Tutte le info complete sul sito di Cemento podcast.
Per oggi è tutto qui, da Socotra è impossibile fare altro.
Ci sentiamo con più calma quando torno. Per tutto il resto ci sono Telegram e Instagram.
A presto,
Eleonora