🛸 Dieci cose piccole 2024
e cantare Cinema Paradiso a Porto Said. I tour primavera 2025 aprono lunedì 16!
Ciao!
Questa è Pain de Route, cioè pan di via, la newsletter più imprevedibile dell’Est. Di Eleonora Sacco, che poi sarei io. Se ti hanno inoltrato questa newsletter, puoi iscriverti da qui.
È lo spazio dove provo ad arrotolare i fili ingarbugliati di una vita senza copione, annuncio in anteprima gli eventi e i viaggi di gruppo e raccolgo qualche consiglio di ascolto e lettura. Esce quando deve uscire.
Quest’autunno non sono riuscita a mandare la newsletter di novembre, così questa è doppia: contiene un breve racconto e dieci cose piccole, un bilancio di com’è andato il 2024.
Le iscrizioni ai tour primaverili 2025 Kukushka Tours aprono lunedì 16/12 alle 19.00. Vedi sezione più in basso.
In questa newsletter avviso in anteprima (a volte poca, scusate) su quando aprono le iscrizioni ai tour. In alternativa, lo scrivo sempre anche su Telegram e ora c’è anche una notifica di Kukushka dedicata solo a quello, non molesta, che vi ricorda solo quando aprono le iscrizioni
A presto,
Eleonora
Cantare Cinema Paradiso a Porto Said
Misho mi allunga un gilet giallo catarifrangente. Se non vuoi morire in bici in Egitto, l’unica è sembrare un po’ un’idiota mentre vai, sbracciandoti a ogni curva e dando per scontato che gli altri mezzi non sappiano cosa stanno facendo. Regole tra l’altro che valgono anche se non vuoi morire sul ponte della Ghisolfa, ma non fatemi infervorare e torniamo in Egitto.
Svicoliamo tra le strade porticate di Porto Said, rincorrendo le ultime luci del giorno. La brezza di mare si insinua tra le strade regolari, corrodendo le facciate in legno del quartiere arabo, le persone sembrano rallentare appena appena per prepararsi alla preghiera del maghrib.
Misho ci fa segno di salire sul traghetto. Non c’è biglietto: è un servizio pubblico per macchine, pedoni, ciclisti. Non ha attrazioni turistiche, Porto Said, che di turisti non ne vede o quasi, ma, se ce ne fosse una, sarebbe attraversare il Canale di Suez al tramonto per lasciare l’Africa e raggiungere l’Asia. Un ragazzo di fianco a me si accende una sigaretta pensieroso, mentre il cielo dà il suo miglior spettacolo.
Quando la chiatta molla gli ormeggi, siamo in mezzo alle acque di quel prodigio dell’ingegneria, compagni di gara delle sue immense navi, che ultimamente sono un po’ di meno. La sera, al largo della costa mediterranea, da Porto Said si vedono le luci all’orizzonte di quelle che aspettano il loro turno. Sembrano condomini da migliaia di inquilini, o un tratto di costa che non c’è. Invisibile, ma distante solo centottanta chilometri in linea d’aria, c’è la spiaggia di quel che resta di Gaza. A giudicare dalla quiete lenta e spensierata della città, quei centottanta chilometri sembrano milleottocento.
Poco lontano, all’inizio della corniche, oltre le cancellate sbuca un grosso piedistallo vuoto, in pietra bianca, a guardia del canale. La statua di Ferdinand de Lesseps, il suo ingegner scavatore, ha minacciato di tornare più volte, senza mai riuscirci. Quel piedistallo è vuoto dal 1956, anno di quella che «non è stata una crisi, ma un’aggressione tripartita», spiega Misho. Appena dopo, l’Egitto non ha mai toccato, né gli ha apposto a una targa esplicativa, l’edificio modernista della Casa d’Italia, su cui svetta un’iscrizione monumentale firmata da due iniziali che conosciamo bene: B. M., «fondatore dell’impero».
Misho getta del pane ai gabbiani, che aveva portato apposta. «Mi piace dargli da mangiare, lo faccio sempre. Chi riesce a farglielo prendere in volo vince, provaci, non è per niente facile».
Dall’altra parte, Porto Fuad è un ingresso in un terzo mondo, nella città di linee e confini invisibili che è Porto Said. Dal quartiere arabo, costruito da zero per gli arabi che scavarono il canale, si passa al quartiere europeo, che è un altro mondo: quello delle villette liberty per gli ingegneri francesi e europei. Oltre il canale stesso, c’è il quartiere dei dirigenti, dove le strade improvvisamente diventano intonse, l’erba più verde e i giardini curati e irrigati. Quelle case sono ancora proprietà dell’Autorità, come la chiamano lì - la grande ombra che fa girare il motore della città, controllando ogni cosa nella città del Canale di Suez.
Il sole è tramontato definitivamente oltre le case. Siamo nell’Egitto asiatico, in un quartiere che è quanto di più distante da quello che potessimo anche solo concepire: né un pezzo di Europa, né un pezzo di Egitto, ma un’isola sospesa da canali scavati artificialmente, esattamente com’è Porto Said. Quelle villette imbiancate, coi balconi in legno rosso, sembrano la scenografia bidimensionale di un film ambientato in un’epoca non esistita. Il traffico è sparito e scivoliamo in bici sospinti dalla brezza, nella luce crepuscolare, lasciando correre i pensieri. Più passa il tempo, in Egitto, ma soprattutto nell’atmosfera marinara di Porto Said, sento quella vena romantica da neorealisti italiani pulsare sottopelle. Quella luce, quelle case bianche, i caffè fumosi con gli interni in legno, le biciclette…
Misho in Italia doveva venirci a studiare, ma l’inflazione alle stelle ha azzerato i suoi risparmi e cancellato la sua partenza. All’improvviso intona a pieni polmoni, nel silenzio delle strade regolari e degli aranci potati con cura, la colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso - non faccio in tempo a riconoscerla, che mi accodo anch’io, senza riuscire a resistere. Misho mi lancia uno sguardo che luccica nel buio: non se l’aspettava. Siamo entrati entrambi nel sogno.
Vista dall’oltremare dimenticato, per lui l’Italia è così - una melodia da cantare in bicicletta, illusoria, come in un film.
Tour primaverili 2025 di Kukushka
Domani lunedì 16/12 alle 19.00 aprono le iscrizioni ai tour primaverili 2025:
Bulgaria, 12-21 aprile, con Giorgia Spadoni, 1450€
Turkmenistan, 11-21 aprile, con Manuel Mezzadra, 2190€
Armenia, 13-21 aprile, con Eleonora Sacco, 1350€
Uzbekistan e Tagikistan, 21 aprile-2 maggio, con Lucia Bellinello, 1750€
Georgia orientale, 25 aprile-3 maggio, con Arianna Cerea, 1350€
Novità: Fughe balcaniche
Sofia Kukeri, 23-26 gennaio, con Giorgia Spadoni, 190€ / aperto ai bambini ♥
Belgrado, 24-27 aprile, con Giorgia Spadoni, 190€ / aperto ai bambini ♥
Sofia letteraria, 22-25 maggio, con Giorgia Spadoni, 190€
Un consiglio per orientarvi: se è la prima volta a Est, vi consigliamo Bulgaria, Armenia o Georgia orientale per un inizio tranquillo. Si mangia pure divinamente.
Se volete più libertà e un assaggio veloce di come viaggiamo, le fughe balcaniche sono una buona idea a basso costo. Noi ci mettiamo Giorgia Spadoni come mediatrice, una guida locale e i trasporti pubblici, voi il resto.
Se volete buttarvi su qualcosa di intenso e sorprendente, Uzbekistan e Tagikistan. Per un trip acido, il Turkmenistan.
Vi aspettiamo!
Dieci cose piccole
ma davvero piccole che ho fatto quest’anno e che magari potete fare anche voi. Un piccolo bilancio personale di un anno ancora più violento e più segnato da guerre di quello precedente, ma di cui voglio provare a salvare comunque qualcosa.
Quest’anno ho:
1. Scritto tanto, ma davvero non sapete quanto
Talmente tanto che ne verrà fuori un libro.
Si chiama Socotra. Viaggio sentimentale in un’isola impossibile e uscirà a metà febbraio per EDEA, per cui avevo già scritto il primo.
Scrivere un libro, dopo amare una persona, è il più grande esercizio di costanza che ho mai fatto. È difficile, specie per una casinista come me, ma si può fare. Si inizia dal piccolo, come con quasi tutto, senza avere bene idea di dove si stia andando, ma poi le cose vengono fuori più o meno da sole.
Questo libro è una delle cose più intense e corpose che abbia mai scritto, soprattutto perché parla soprattutto di persone più che di luoghi, di rapporti umani, di dinamiche di potere e di realtà molto più normali di quello che pensiamo. È la mia storia d’amore con un’isola che mi ha dato un altro nome, fino a dimenticarmi il mio, quello vero.
Spero con tutto il cuore che vi piaccia.
2. Letto un po’ di più, anche se non abbastanza
Giuro che non sembra perché «eh ma sei sempre in giro» ma quest’anno ho davvero passato molto più tempo ferma a casa. Mi sono impegnata concretamente per riservare del tempo improduttivo a me soltanto, senza farmelo scivolare via tra le mani. Non è stato sempre facile, ma ripetermelo ha aiutato.
Un giorno, ho chiesto a Mattia Salvia di Iconografie come facesse a leggere così tanto. Mi ha risposto che lo fa «un po’ al giorno, tutti i giorni»: non credevo potesse essere così semplice, ma funziona, e quest’anno ho letto più libri dell’anno scorso. A gennaio ho letto I Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Quando l’ho finito, mi sentivo praticamente orfana: è stato un viaggio di un’intensità difficile da descrivere. Arevik mi ha detto che sembra di cadere in un pozzo, e ha ragione. Poi ho letto anche Marco Polo di Viktor Šklovskij. La sua riscrittura de Il Milione in pieno stalinismo gli dà tinte ancora più immaginifiche. Per assurdo, mi sembra meno orientalista Marco Polo a fine Duecento che non certi autori contemporanei. Il campo delle pere di Nino Ekvtimishvili, più ci penso, più lo trovo stratificato, ne ho scritto per Meridiano13. Ho letto molto di Iraq, anche per preparare i viaggi di Natale, e ve ne ho parlato nelle scorse newsletter. L’ultima lettura illuminante dell’anno è stata L'invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane di Lucia Tozzi. Quando l’ho preso in prestito in biblioteca, a Milano, ce n’erano 26 copie di cui 16 già in prestito, perché è un libro che riesce a verbalizzare il disagio che le smart cities ci generano dentro. Leggetelo anche se non siete milanesi. Ne ho scritto qui su Telegram.
3. Partecipato a molti concerti
L’impressione è che la musica sia una delle poche cose che riesce ancora a mobilitare grandi masse di persone, a dare un senso di comunità diffusa, di unione. Partecipare a un concerto è uno dei pochi riti collettivi che ci rimangono - dà conferme, è taumaturgico, ci fa sentire parte di qualcosa. Ma c’è anche tanta FOMO per l’evento-unicum in sé e davvero con sti cellulari che filmate tutto il concerto avete rotto dai.
Oltre ai CCCP (ammetto di averli visti due volte, a Milano e a Roma, e sì, l’hanno fatto per per fare cassa blabla ok), ho visto due volte Vasco Brondi, gli Altın Gün a Roma, i Molchat Doma, ho fatto qualche bella scoperta grazie a Club Mondo a Milano, un incredibile Paolo Angeli a Torino, Fatoumata Diawara, l’anno scorso Boris Grebenščikov. Credo sia uno dei modi migliori per spendere soldi.
4. Usato Instagram per 15’ al giorno
È semplice: basta mettere un timer nelle impostazioni dell’app stessa. Non è super infallibile, a volte dopo qualche ora l’app si riattiva senza motivo, credo sia un bug voluto - in fondo, cosa ci guadagna Instagram a farti passare meno tempo da lui?
Però è andata molto bene. Ho letto di più, condiviso molto meno, perso meno tempo in generale, continuato sulla scia per me molto sana di rendere pubblico sempre meno della mia vita privata e lasciare quanto più possibile offline. Serve la camicia di forza? Con me, sì.
Mi sono persa qualcosa di imperdibile, in tutte quelle ore che non ho passato lì dentro? No. Le cose importanti le ho recuperate con calma dalle molte newsletter belle e dai giornali che seguo, e che so che non svaniscono dopo 24h. Mi fa vivere con molta meno ansia e senso di urgenza, dà il tempo giusto alle cose.
5. Visitato almeno un posto nuovo
L’anno scorso ero stata bannata a vita dalla Siria di Bashar al-Assad e respinta al confine libanese. Per fortuna mi avevano lasciato andare sulle mie gambe e non era successo niente di male, anzi, erano stati tutti molto gentili. Avevo fatto dietrofront sotto il ritratto inquietante del dottore oftalmologo, pensando che, in fondo, stessi solo vivendo per un giorno della mia vita quello che milioni di persone vivono sistematicamente.
Quella sera, dopo una giornata passata a piangere e un tassista libanese che non capiva, cercando goffamente di consolarmi, una collega di Manuel, a Beirut, mi aveva detto che non sarebbe stato un divieto a vita: «fanno prima a buttar giù Assad», aveva sentenziato, nel buio delle notti senza generatori di Beirut, al fumo della shisha. Nella mia testa, avevo pensato «se, vabbè».
Quello che è successo in questi giorni è incredibile.
Ecco, l’anno scorso la Siria doveva essere il mio posto nuovo, ma alla fine avevo ripiegato su Cipro. Quest’anno invece ho avuto la fortuna di poter visitare ben cinque posti nuovi - il più piccolo (e controverso) di questi è San Marino, dove tra l’altro abbiamo scovato a caso una statua di Jurij Gagarin sinistramente finanziata dall’ambasciata russa. Il più indescrivibile il Turkmenistan: vi avevo mandato una cartolina via mail da Ashgabat, l’unico canale con cui potevamo comunicare col mondo esterno. Il più intenso l’Iraq. Dopo due settimane di viaggio autonomo nel Paese, uno dei più difficili e faticosi, ho dormito quattordici ore filate, tra calo d’adrenalina e stanchezza accumulata. E ancora una fuga esplorativa in Tunisia e una, bellissima, in Egitto con tre amici, tra cui i We are local nomads, per arricchire il significato del concetto un po’ piatto di mondo arabo.
6. Imparato un nuovo alfabeto, l’arabo
Imparare di nuovo a leggere e scrivere, per la sesta volta nella mia vita, è stato catartico. È un gesto di grande umiltà ma che gratifica molto. Si impara per intero in una decina di giorni, con un impegno ragionevole, ma la sensazione è di accedere a un nuovo reame del sapere, o di aver sbloccato d’improvviso un’area inutilizzata del proprio cervello.
L’arabo è il primo non-alfabeto che imparo, gli altri (greco, cirillico, georgiano, armeno) sono sono modulati dal greco e quindi funzionano alla fin fine come il nostro, ma con caratteri diversi. L’arabo richiede un po’ di elasticità mentale, ma è più logico e intuitivo di quello che sembra. Con uno schiocco di dita quei disegnini incomprensibili iniziano ad assumere un senso, spalancando centinaia di porte in più. È un grande regalo che mi sono fatta da sola e che ora dà un po’ più di criterio al dialetto da suq che parlavo prima.
A Socotra direbbero proprio ماشاءالله
7. Dedicato più spazio alle montagne
Dalla Val Grande con Pietro Beretta, al Friuli con Nicola Ceschia, sono stata di nuovo nei miei cari bivacchi - quando le piogge eccezionali ci hanno regalato montagne verdi e innevate ancora a luglio. Ho (quasi) scalato il Gran Sasso, tornando indietro per le ultime poche centinaia di metri perché la roccia era ricoperta di verglas, e fatto giri più piccoli ma non meno appaganti in montagne vicine.
Ho fatto una bella camminata caucasica con alcuni ragazzi (ciao gorvashini ♥) del mio tour estivo in Georgia, vedendo l’Elbrus da lontanissimo. Fatto altri giri incredibili in Khevsureti, di cui vi avevo raccontato in questa newsletter, e visto da vicino il mio primo settemila, che non poteva essere nessun altro se non il Picco Lenin, tra Kirghizistan e Tagikistan. Coi ragazzi del tour in Pamir abbiamo fatto una camminata devastante fino a 4200m, ai piedi di una muraglia di ghiaccio abbagliante.
Anche se in realtà lo spazio dedicato alle montagne è stato prima ancora leggere, studiare, incontrare, guardare, ascoltare di più da mondi che sono scrigni.
8. Ascoltato il bramito del cervo
A fine settembre con una guida escursionistica, Laura Antiquario, sono stata in Val Susa a osservare i cervi e ascoltare il bramito. È stata una cosa incredibile che non pensavo avrei mai fatto in vita mia - ho sempre pensato di essere “una non da animali”, e invece sentire il bramito è come sentire un canto di Tuva, è un richiamo ancestrale che risuona nei boschi. Per l’anno prossimo, tra settembre e ottobre, vi consiglio di cuore di andare ad ascoltarlo: si può fare in tante regioni italiane, anche vicino a casa vostra. Fatelo però con una guida esperta, per evitare rischi e per non disturbare gli animali in uno dei momenti più delicati dell’anno.
C’è molta più politica nella gestione della fauna selvatica di quello che si pensa - mi ero persa la vecchia storia dei pony di Ursula Von Der Leyen sbranati da un lupo, che pare abbiano innescato una reazione a catena di conseguenze, tra cui l’alta probabilità che la Commissione europea declasserà lo status di protezione del lupo. Insomma, questa storia dei cervi mi ha un po’ aperto un mondo. La storia dei pony mi ha fatto anche molto ridere.
9. Partecipato a molti festival
Da un dialogo con Laura Silvia Battaglia su Socotra e lo Yemen a Immagimondo, fino a un intervento sul linguaggio esotico quando si parla di viaggi a DiParola Festival, evento pioniere a L’Aquila dove ho rivisto e incontrato tante persone care.
Alessandro Fusacchia mi ha scritto personalmente, un giorno, per invitarmi alla Pratolungo Unconference edizione di Pisa, un evento chiuso che è una fucina-incubatrice di menti da estrazioni completamente diverse, che mettono su un palinsesto e organizzano delle tavole rotonde per parlarne - senza titoli e senza gerarchie. È stato folgorante, anche se faccio un po’ fatica a essere socialmente disinibita in contesti così fuori dal mio ordinario. Grazie a Pratolungo ho avuto l’onore di sedermi al tavolo di Sandro Pertini, nella ex villa del Quirinale di San Rossore, e di cenare alla villa dove Puccini ha scritto la Turandot, ma anche di ascoltare dal vivo uno dei più grandi studiosi di Matteotti nel centenario esatto del suo assassinio per mano fascista. Non avevo ben capito che evento era, ed ero l’unica in Teva e jeans, per giunta un po’ macchiati, ma credo non se ne siano accorti.
10. Riflettuto sulla solitudine, e imparato a lasciare andare
Il tema in realtà più grosso e importante di quest’anno è stato imparare a lasciare andare. È stato un pensiero, quasi un mantra, che mi ha accompagnato ogni singolo giorno. Ho lasciato andare cose, luoghi, persone, dopo aver faticato moltissimo per trattenerle in un posto dove non potevano più stare. Sono lutti veri e propri, che le persone intorno non possono vedere. Anche questo, si è fatto, a poco a poco e col tempo.
È stata la fatica più grande di quest’anno e anche la cosa piccola, di cui sono più fiera. Mollare gli ormeggi significa guardare in faccia la solitudine sistemica in cui viviamo, che non è una sfortuna individuale, ma un fenomeno collettivo, da cui si salvano in pochi. Una cara amica mi ha regalato, per i trent’anni, La solitudine del cittadino globale di Zygmunt Bauman: sarà il primo libro che leggerò nel 2025 e che spero mi guidi più a fondo in questo percorso. Di solitudine ha parlato Internazionale ed è un tema ricorrente nelle cose straordinarie che fa Natalie Norma Fella, come la sua newsletter (privata, ci si iscrive solo se la si vuole veramente leggere) e le sue performance acustiche, come Piazza della solitudine per Wundertruppe Teatro. Credo sia, in qualche modo, una scheggia che una volta individuata nel corpo non si può più rimuovere, e che ci rimarrà dentro per sempre. Sta a noi sfruttarla per cavarne fuori anche qualcosa di buono.
A proposito di lasciare andare, i reportage e le storie emersi con l’apertura della prigione di Sednaya, a Damasco, mi hanno scossa profondamente.
Per il 2025 spero che anche molti altri regimi sanguinari del mondo lascino andare chi è ingiustamente detenuto da mesi o anni in condizioni disumane. In Bielorussia, Maryja Kalesnikava e tutti gli altri dissidenti di cui non si hanno più notizie. In Russia, Aleksandra Skochilenko e tutte le altre persone che hanno avuto il coraggio di opporsi alla guerra, anche con azioni microscopiche. In Azerbaigian, tutti gli attivisti per il clima e i dissidenti azerbaigiani ingiustamente accusati di tradimento, nonché i 23 prigionieri di guerra armeni che il governo si ostina a non voler rilasciare, nonostante le pressioni internazionali. In Georgia, i manifestanti arrestati, picchiati e colpiti da sostanze chimiche dannose durante le manifestazioni di questi giorni. Le migliaia di palestinesi, e soprattutto di bambini, detenuti ingiustamente nelle carceri israeliane. In Italia non siamo messi meglio e la situazione si sta inquietantemente deteriorando a vista d’occhio, con crociate politiche contro qualunque dissenso.
Lasciare andare agli altri è difficile - si rimane da soli, a guardarsi nelle proprie paure e fragilità. Che è proprio quello di cui i regimi autoritari del mondo sono fatti.
Giusto due consigli stravolti in più
📨 La newsletter Estera de Lo Spiegone. L’ultima si chiama Valzer con Bashar, che mi ha strappato una sonora risata. Curata, ricca e non molesta.
📨 La newsletter Fungotropìa di Camilla Mazzanti. Il mondo dei funghi si presta a un milione di storie assurde, quasi fantascientifiche, ma incredibilmente reali. Bella la versione audio.
📨 La newsletter coi consigli sui libri di Natale di Meridiano13: ve ne ho consigliato uno anch’io.
📨 La newsletter di Mattia Salvia, Ufficio Politico, e quella di Iconografie, Tempolinea, che sono a mani basse tra analisi più originali e interessanti in circolazione.
📽️ TraumaZone di Adam Curtis è il documentario più bello che ho visto quest’anno, parla di come è stata smantellata e svenduta l’URSS negli anni Novanta. Scioccante, necessario per capire l’oggi.
🎨A seed under our tongue di Saodat Ismailova è la mostra più interessante che ho visto quest’anno. È all’Hangar Bicocca a Milano ed è gratis, bisogna solo prenotare uno slot orario perché va goduta con il giusto tempo e modo ed è a numero chiuso. Qui una veloce recensione sul canale Telegram.
Grazie di aver letto fin qui e alla prossima,
Eleonora