✨Il cassetto delle candele e un nuovo libro in uscita (!)
Il buio del Libano, di Socotra e dell'Iraq, i prossimi tour estivi e la tournée del libro
Ciao!
Questa è Pain de Route, cioè pan di via, la newsletter più imprevedibile dell’Est. Di Eleonora Sacco, che poi sarei io. Se ti hanno inoltrato questa newsletter, puoi iscriverti da qui.
È lo spazio dove provo ad arrotolare i fili ingarbugliati di una vita senza copione, annuncio in anteprima gli eventi e i viaggi di gruppo e raccolgo qualche consiglio di ascolto e lettura. Esce quando deve uscire.
Questa prima newsletter del 2025 parla di buio, ma soprattutto di luce.
C’è l’anteprima dei tour estivi, a cui potete iscrivervi dal 10 febbraio ore 19.00. C’è la notifica di Kukushka Tours
C’è anche l’annuncio della tournée del mio secondo libro, Socotra. Viaggio sentimentale in un’isola impossibile, che esce tra dieci giorni, il 14 febbraio. Vi aspetto a Milano al Nuovo Armenia per il lancio, con la giornalista Laura Silvia Battaglia, oppure nelle date successive. Ne faremo una persino in una chiesetta sconsacrata in Val Susa, se volete fare una gita montana notturna.
Un abbraccio grande e a presto,
Eleonora
Il cassetto delle candele
A Beirut capii cos’è il buio - che suono fa, che profondità ha. Quanto pungono le zanzare in quel buio senza elettricità, dove il ronzio dei condizionatori si zittisce, e quello dei generatori non è ancora partito. Che forma ha un’intera città al buio, dove persino le insegne si spengono, e la montagna nera si scioglie in un mare che sa solo di motorini e palazzi sventrati dall’esplosione. Era giugno 2021. Quel viaggio fu un pugno nello stomaco che rielaborai solo più tardi, a Beirut ci tornai che era molto cambiata, nel 2023, e chissà com’è ora, a gestire le sue macerie senza poter abbassare la guardia. All’epoca, mentre la cercavo fuori dalla finestra, invisibile, alle tre di una notte silenziosa persino a Gemmayzeh, a Socotra non ero ancora neanche mai stata.
Quando ci arrivai per la prima volta, a novembre 2021, nella valigia avevo un milione di cose inutili, di cui in un posto come uno scoglio dimenticato da qualche parte nell’oceano indiano non te ne fai nulla. Invece, ben presto capii che l’unica cosa davvero importante da avere era la torcia frontale. Cioè una buona torcia frontale, capace di fendere il buio più profondo che avessi mai visto, più profondo e spaventoso persino di quello di Beirut: quello il crepuscolo e il sorgere della luna dal mare, in occhi ancora non abituati all’oscurità.
A quel buio denso di attese, a Socotra, dovetti abituarmi subito. Era un dominio fuori dal mio controllo razionale, e ne avevo paura, mentre le persone di lì sembravano non averne. Il buio le proteggeva e avvolgeva, cullandole, abituate fin dalla nascita a convivere con dodici ore quasi esatte di tenebra tutto l’anno. Si muovevano in quell’oscurità ancestrale con disinvoltura, con occhi che la navigavano seguendo le stelle, senza la mia cecità occidentale, urbana. Per voler essere come loro, volermici mescolare disperatamente, la torcia per me divenne tutto. Mi dava il potere di vedere senza essere vista, di intimorire se necessario, e di avere le mani libere per reagire. Che fosse il passo felpato di uno zibetto indiano, che laggiù chiamano «Socotri cat», di cui afferravo solo il baluginio dei suoi occhi sgranati; o il riflesso di un motorino che sfrecciava sulla sabbia umida e compatta, o la sagoma di un uomo che fuma il narghilé sdraiato sulle coperte nell’angolo di un ‘arish.
Quel buio denso, di città che non hanno eserciti di lampioni a LED, mi ha accompagnata in tanti viaggi a sud e a sud-est, dove le notti sono sempre lunghe e la vita prosegue indisturbata anche nell’oscurità. Nei vicoli consunti della medina di Tunisi, camminando in mezzo alle strade di Downtown o lungo Nilo al Cairo. E a Nassiriya, a Mosul, a Baghdad, mentre l’intera città sprofondava nell’ennesimo blackout. Il Wi-Fi saltava, la videochiamata si interrompeva, il mio viso in basso a destra diventava all’improvviso un riquadro nero. Ho iniziato a rifletterci seriamente solo quando Arevik mi ha sbloccato un ricordo lontanissimo.
«Ma voi da piccoli non avevate a casa il cassetto delle candele?»
Sì che ce l’avevamo. Non ci pensavo da una vita, eppure credo esista ancora: un cassetto che aprivamo solo quando saltava la luce - lo cercavamo a tentoni, sapendo di trovarci le vecchie candele rosse consumate qualche Natale prima, lo scatolino dei fiammiferi in basso a destra. Accendevamo una candela, la mettevamo sul tavolo, e aspettavamo. La sua luce proiettava bagliori flebili e concentrici sul soffitto. In quei momenti, a pensarci adesso, tutto si fermava, trattenendo il fiato, come per magia.
Mentre me lo chiedeva, cercavo di pensare a qual è stato l’ultimo blackout a Milano di cui ho memoria, e la realtà è che non me lo ricordo, perché è stato almeno più di vent’anni fa. L’estate scorsa ne fece notizia uno, per tutti i condizionatori accesi nell’afa milanese, ma io non c’ero.
Se i blackout facessero notizia anche in Iraq i giornali sarebbero intasati, perché se ne verificano diversi ogni giorno, in tutte le città del Paese. È talmente normale, che gli elettrodomestici spesso hanno un gruppo di continuità elettrica attaccato, per limitare gli aumenti di tensione e tenerli accesi anche coi blackout. Dopo un paio di giorni smetti di farci caso, quando salta la luce, anche perché nessuno intorno a te sembra stupirsene, e le cose continuano come se niente fosse.
Le prime volte in Iraq, invece, a me quel buio coglieva alla sprovvista. Era un buio che sapeva di lontano nel tempo e nello spazio, di candele e candeline e di luccichii magici. Così, spontaneamente ci è venuto di cantare un tanti auguri alla nostra guida ventitreenne, Yusuf, che all’inizio non capiva. La torta non arrivava, ma a ogni blackout il coro partiva in automatico, e lui per qualche momento si sentiva un piccolo principe che gongolava dirigendo un’orchestra immaginaria. I blackout per noi erano speciali come un compleanno, per loro solo il sintomo di una società che cresce troppo in fretta per la rete elettrica che possiede.
Così ho scoperto che l’Iraq brucia (nel cosiddetto gas flaring) il doppio del gas che ogni anno importa dall’Iran, posizionandosi come terzo Paese al mondo per quantità di gas sprecato incendiandolo all’aria aperta dopo Russia e Iran, e molte cose hanno iniziato ad avere decisamente più senso. L’Iraq ha visto aumentare quasi del 30% la propria domanda di energia elettrica negli ultimi cinque anni, ma pur essendo il quinto Paese al mondo per riserve petrolifere disponibili, non è neanche lontanamente autosufficiente da un punto di vista energetico: brucia il suo stesso gas anziché utilizzarlo o rivenderlo, e importa percentuali che oscillano tra il 25 e il 40% dell’energia elettrica e del gas dall’Iran. Con ovviamente forte pressione degli Stati Uniti, che vorrebbero trovasse fonti di approvvigionamento alternative da paesi buoni e non sanzionati, come per esempio, che so, quella culla della democrazia che è il Turkmenistan…
Sorvolando i giacimenti petroliferi del Sud, nelle prime luci dell’alba, quelle fiaccole in mezzo alla terra arida - così tante che in una sola foto fatta distrattamente dal finestrino ne inquadravo sei o sette insieme - sembravano obelischi di morte in una terra talmente degradata da cui non crescerà mai più nulla. Dormendo in una capanna a Chibaysh, o in una lurida cuccetta femminile del treno notturno Basra - Baghdad, la notte è scura, e senza luci, ma rischiarata dai bagliori rossastri, inquietanti di quelle fiammate. Non stelle, ma gas flaring…
Di buio, notti, solitudini, torce, stelle e fiammate ho ragionato molto l’anno scorso, che è stato un anno intenso e trasformativo, che descrive bene L’ombra della luce di Battiato (questa la versione in arabo cantata a Baghdad nel 1992). Quest’anno sento di avere una buona torcia frontale con me, e le mani libere, qualunque animale della notte incroci il mio cammino. Vediamo come andrà.
A presto,
Eleonora
Sta uscendo il mio secondo libro, su Socotra
Dal 14 febbraio trovate in libreria e online Socotra. Viaggio sentimentale in un’isola impossibile, il mio secondo libro (che impressione scriverlo), con una prefazione di Laura Silvia Battaglia al-Jalal.
È un lungo reportage che parla di persone per raccontare dell’isola tutta, dagli animali del mare ai picchi più scoscesi, dalle ginecologhe kirghise dell’ospedale alle relazioni tra lo Yemen del Sud e Cuba, dai carri armati sovietici tra le sabbie fino ai film guardati su un cellulare dal tetto di un palazzo in costruzione.
Socotra era già un romanzo, perché non è un’isola deserta, ma un luogo brulicante di vita. Su cui le nuove potenze regionali stanno allungando le mani lontano dai riflettori, facendo indisturbatamente quello che da decenni avviene già altrove: occupare, comprare, annettere. Il turismo scivola come un serpente nella faglia, arma di soft power emiratino e finestra sul resto del mondo per il popolo socotri. Ma i turisti sono turisti, diceva Ahmed Edib.
«Ecco, nessuno si occupa più delle piante, ma iniziano ad arrivare i turisti. E i turisti sono turisti. Fanno le foto. Fanno le foto e vanno via. Non sanno niente. Magari un turista trova una pianta sul suo percorso, finito. Ma una persona che se ne occupa, sa tutto. E se hai studiato le piante di Socotra, quando ci torni e vedi com’è adesso, ti senti molto… piangi»
È stata dura tenere tutto insieme, ma spero di cuore vi piaccia.
Se pre-ordinate il libro dal sito della casa editrice Enrico Damiani, che è una realtà di qualità rara, per me come una famiglia, le fate un grosso favore.
Altrimenti lo trovate nei soliti posti e nella vostra libreria indipendente di fiducia.
Vengo a presentarlo qui (in aggiornamento, controllate Telegram):
Milano 14 febbraio ore 19.00, Nuovo Armenia, con Laura Silvia Battaglia al-Jalal, ingresso in teoria con la tessera di Nuovo Armenia (5€), arrivate presto per trovare posto a sedere
Mocchie (TO) 21 febbraio ore 20.45, chiesa sconsacrata di S. Rocco, con Laura Antiquario, ingresso libero (salvate le coordinate GPS perché non prenderà il telefono, ma sarà bellissimo!)
Bologna 10 marzo ore 18.30, Modo Infoshop libreria, ingresso libero
Firenze 11 marzo ore 19.00, L’Ornitorinco libreria, con Angelo Zinna, ingresso libero
Roma 12 marzo 18.30, Libreria Antigone, con Cristina Cassese, ingresso libero
Livorno 14 marzo, ExtraFactory, con Gianluca Pardelli, orario tbc, ingresso libero
Torino 18 marzo ore 18.30, Libreria Trebisonda, con Farian Sabahi, ingresso libero
Lisbona 22 marzo ore 17.00, Piena Libreria, ingresso libero
Rovereto 8 aprile ore 19.00, Libreria Arcadia, ingresso libero
Verona 9 aprile ore 20.30, Museo africano, ingresso libero
Cuneo 14 maggio ore 19.00, Nuovo Cuneo, incontro insieme a Giorgia Spadoni, ingresso libero
Ci vediamo là, vi aspetto!
Che fai quest’estate?
Eccoci con i programmi estivi per il 2025, su kukushkatours.it. Potete guardarli con tutta calma, le iscrizioni aprono lunedì 10 febbraio alle 19.00. Come sempre, segnatevi la data e siate puntualissimy, alcuni tour vanno sold out in pochi minuti. Non facciamo selezioni e seguiamo l’ordine di iscrizione.
giugno
Mangystau e Karakalpakstan, con Tino Mantarro, 7-19 giugno, 2290€
luglio
Mongolia, con Gianluca Pardelli e Eleonora Sacco, 7-18 luglio, 2490€
Slovacchia ferroviaria, con Marco Carlone, 12-19 luglio, 1390€
Georgia occidentale, con Eleonora Sacco, 27 luglio - 9 agosto, 1990€
agosto
Serbia e Bosnia, con Giorgia Spadoni, 7-17 agosto, 1790€
Kazakistan e Kirghizistan, con Tommaso Aguzzi, 10-21 agosto, 2190€
Pamir, con Eleonora Sacco, 16-27 agosto, 2590€
Uzbekistan e Tagikistan, con Tommaso Aguzzi, 25 agosto - 5 settembre, 1750€
Moldova e Transnistria, con Gianluca Pardelli, 29 agosto - 5 settembre, 1590€ (disponibile presto)
Posti liberi nei tour primaverili:
Bulgaria, 12-21 aprile, con Giorgia Spadoni, 1450€
Turkmenistan, 11-21 aprile, con Manuel Mezzadra, 2290€ (ultima chiamata)
Sofia da leggere, 22-25 maggio, con Giorgia Spadoni, 190€ (ultimissimi posti liberi)
Consigli stravolti
📽️Ho visto anch’io No other land, Yuval Abraham, Basel Adra, 2024. È da vedere ed è molto stratificato, una storia-simbolo in parte simile a Five broken cameras, Emad Burnat, 2011, molto reperibile. Quando l’avevo visto in primavera al Nuovo Armenia in newsletter avevo scritto: come inizia un genocidio, da zero. No other land è girato esattamente dieci anni dopo. In sala c’era un silenzio di tomba, che premeva forte sul petto. «Devo chiedervi di uscire, c’è un altro film che inizia proprio ora» ha detto il ragazzo del Beltrade, e sicuro non voleva, ma ci ha rotti tutti un po’ dentro.
📽️Ho potuto vedere in anteprima Immortals, di Maja Tschumi (2024), un documentario che racconta la storia di tre giovani iracheni - che per età anagrafica sono cresciuti con una guerra dopo l’altra - la cui vita è cambiata a seguito delle proteste di massa di piazza Tahrir, dette Rivoluzione d’Ottobre irachena del 2019, culminate con le dimissioni del primo ministro Abdul-Mahdi, 787 morti e oltre 25.000 feriti. Abbiamo iniziato a vederlo nella moschea sotterranea del nostro hotel a Baghdad, con un tè bollente tra le mani e dei materassi piegati a mo’ di sdraio, mentre sopra di noi la città contemporanea entrava nel 2025 con tutte le sue speranze appresso. È davvero molto profondo e bello - qui potete seguire la distribuzione nei prossimi mesi. «They tried to drown me, but I couldn’t be drowned»
📽️Ho visto Genghis blues (1999), per riavvicinarmi alle culture altaiche della Siberia dopo tanti anni di assenza da quelle zone. Documentario geniale, amatoriale a un punto tale da volerlo abbracciare, che racconta il folle e incredibile viaggio a Tuva del talento musicale Paul Pena e un gruppo di americani scoppiatissimi ma appassionati di khomei, il leggendario canto di gola tipico di Tuva e della Mongolia. Se non avete idea di niente di tutto ciò, respirate a fondo e iniziate ascoltando con intenzione questa unione di khomei e cori bulgari, oppure questa versione con l’overtone, perché vi si sta per aprire un nuovo mondo. Poi ne riparliamo ;)
📽️Visto al cinema Amerikatsi (2022), film che racconta la poco conosciuta storia del rimpatrio* nell’Armenia sovietica autorizzato da Stalin tra il 1946 e il 1949 di 100.000 armeni scampati al genocidio del 1915, che in realtà poi furono in molti casi sospettati di spionaggio e perseguitati. Il film è molto carino, a tratti commovente, ma il doppiaggio italiano rovina il film e la rappresentazione macchiettistica dell’Unione Sovietica è quasi offensiva - i russi-tutti-cattivi-col-baffetto (peraltro sotto Stalin, che era osseto-georgiano) reprimono ugualmente sia gli armeni-tutti-buoni sia gli armeni-americani-buoni è davvero una riscrittura della storia alla luce dei tempi in cui viviamo. Peccato per questa nota davvero stonata, ma è comunque un bel film da andare a vedere. *Per molti di loro, poi scappati in Libano, Iraq, Grecia, Stati Uniti, Francia etc. l’Armenia dai confini attuali non era mai stata la loro patria in senso stretto: provenivano dalle aree dell’Armenia storica, oggi Anatolia orientale e centrale.
📖 Ho trovato per caso in libreria mentre cercavo altro Pianeta Caucaso di Górecki e non ho resistito, ho dovuto prenderlo. Per ora bellissimo, mancava in italiano un grande reportage sul Caucaso per intero, soprattutto sul Caucaso del Nord oltre i soliti stereotipi. È uscito anche Abcasia, sono curiosissima, vi farò sapere.
📖 Già in lettura La solitudine del cittadino globale di Zygmunt Bauman, poi sarà la volta di Arboreto selvatico di Mario Rigoni Stern, vi aggiorno.
🎵 Tornata dall’Iraq, sto in botta con Ilham al-Madfai, il cantante-simbolo dell’Iraq degli anni d’oro.
🎵 Sempreverde, il concerto di Baghdad del 4 dicembre 1992 tenuto da Battiato, in solidarietà alla popolazione irachena vessata dalle sanzioni internazionali.
🎵Da Iscian a Milano ho sentito per caso Wiho & the free radicals, un quartetto sperimentale che miscela un oud algerino, un contrabbasso spagnolo, un beatbox umano da Cincinnati e poesie italo-marocchine. Davvero folgoranti, hanno traghettato la mia mente attraverso tutto il Mediterraneo, e oltre.
🎵 Scoperte di recente e che sto esplorando anche Guinevere e Marta Del Grandi, sonorità molto originali e sperimentali in entrambe, da ascoltare con attenzione.
🎧 Se non conoscete già il podcast Transsib, questo episodio è particolarmente interessante: sostituendo il posto vacante lasciato dagli skipper russi e ucraini, ora spesso a guidare le imbarcazioni che cercano di raggiungere l’Europa via mare ci sono centroasiatici, spesso non consapevoli delle conseguenze di quello che stanno facendo. C’è anche un mio piccolo contributo sull’effetto di flussi migratori così intensi nei villaggi di origine.
📰 Bellissima l’ultima newsletter Collisioni di Angelo Zinna, Il Mar Caspio sta evaporando, un tema di cui si parla troppo poco e che invece è attualissimo, visto che l’Italia compra buona parte del suo gas proprio da lì.
📰 Koselig #178 di Mafe de Baggis dice le poche cose chiare che andavano dette sull’esodo dai social media dopo che - oh! - ci siamo accorte che sono in mano a dei gran cattivoni. Ho chiuso X non avendolo mai usato e abbandonando i miei boh, 348 follower?, mentre gli altri spazi vanno abitati in maniera ponderata, sapendo cosa si sta dando in pasto e a chi, sfruttandoli per il potenziale che hanno, ma coltivando anche luoghi altri (e di proprietà, come un sito). Cose che in tante facciamo già da molti anni.
📰 Gennaio deve aver stappato il tubo dell’onestà, perché anche Il venerdì di [mini]marketing di Gianluca Diegoli di settimana scorsa mi è piaciuta moltissimo. Parla del marketing che ci insegue anche nella vita analogica, anche in digital detox, e di quanti dati produciamo e regaliamo senza rendercene conto. Si chiama “Tutto quello che facciamo è una fott**a pubblicità”.
📰 Non mi ricordo come sono incappata in questa newsletter di approfondimenti sull’Asia Centrale e Caucaso del Central Asia Caucasus Institute, che è diretto nientepopodimeno che da Frederick Starr. Alcune sono dei pipponi da 58 minuti di lettura (non tutte eh), però wow. Se l’accademia arriva su Substack vado in eremitaggio a leggere e non mi vedrete più.
🎟️Sono passata finalmente a quel luogo improbabile ma straordinario che è la Fondazione Elpis, in via Lamarmora a Milano, dove c’è in corso e fino al 13 aprile una mostra collettiva di 27 artiste e artisti dell’Asia Centrale. Evento raro, non governativo, fanno anche tanti incontri interessanti con le artiste in presenza, da non perdere e sempre gratuiti.
🎟️Sono stata invitata ad assistere a un evento Scuola Futura organizzato dal Ministero dell’Istruzione a tema intelligenza artificiale. Alla cerimonia d’apertura c’era Luciano Floridi e sono rimasta ipnotizzata dal suo intervento, divulgativo ma preciso e politico, che centrava i due punti salienti della questione: che l’AI non sia in mano a un’oligarchia, e che venga usata per il bene della collettività e dell’ambiente. Vedere un migliaio di ragazzini da tutta Italia assistere a un convegno di questa qualità è straordinario e confortante. Vedremo dove si andrà.
Per oggi è tutto,
alla prossima!
Eleonora